I taccuini di Tarrou – 367

Ho appena riletto la conclusione del mio ultimo romanzo, quello dedicato a Lei, ispirato alla nostra storia. Incredibile ma vero, ho provato soddisfazione, e persino gioia. Sono contento di ciò che ho scritto e non ha alcuna importanza se nessuno lo leggerà mai. A differenza della stragrande maggioranza degli uomini, io questo maledetto mondo non l’ho subito. A questo maledetto mondo mi sono ribellato, e gli ho fatto male, l’ho ferito. Non mortalmente certo, ma la ferita che gli ho inferto lo ha sfigurato per sempre. E anche se non cambia nulla, va bene così. Da questo punto di vista non ho molto da rimproverarmi.

A proposito di Lei. Tutti i racconti di Gente di Dublino si fondano sull’epifania, rappresentano cioè un momento di crisi che manda all’aria le esistenze dei protagonisti. La mia epifania è stata quando Lei mi ha detto che il nostro rapporto era cambiato, non era più lo stesso. In quel momento ho capito di averla perduta per sempre e la mia esistenza è crollata. Ora vivo tra le mie macerie, ma non smetterò di amarla, non smetterà di pungermi nel profondo il suo ricordo e il suo pensiero. A volte mi sembra di attenderla ancora.

La nostra separazione mi ha fatto così male perché non le chiedevo di amarmi, ma di essere presente nella mia vita, di esserci, di vegliarmi durante questa lunghissima, interminabile agonia, di asciugare il sudore, di tanto in tanto, durante questa lunghissima, interminabile via dolorosa, di essere la mia Veronica. Ma il mio destino è percorrere in solitudine la strada che conduce al Calvario, e dopo la fine della nostra storia non ho neanche più la possibilità di illudermi del contrario. Tutto è ciò che è, soltanto ciò che è.

Ecco, vedete, posso allontanarmi da Lei per qualche istante, dedicarmi ad altre donne, come Cristina, come la sconosciuta incontrata in libreria, ma, alla fine, è sempre da Lei che ritorno, mio malgrado. È Lei la mia meta, è Lei il mio limite. È Lei la mia croce. Da quando la conosco, e sono ormai quasi tre anni, non c’è stato un solo giorno, uno solo, in cui non abbia pensato a Lei, almeno per un momento, e temo che così sarà fino alla fine, a meno che non avvenga un miracolo. Ma io non ho mai avuto quella fede che permette all’uomo di credere nei miracoli.

Ho avuto fede in Lei, e comunque non è servito, non mi ha salvato dalla catastrofe. E il fatto che la nostra storia si sia rivelata, alla prova dei fatti, o meglio, della realtà, soltanto un’illusione, non cambia nulla. È il dolore a determinare il peso di una relazione, come di ogni altra cosa, nella vita di un uomo.

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